Anno 12 - n. 1

Il giardino delle rimembranze

Quando anche l’ultimo petalo del bellissimo fiore, che a lungo abbiamo ammirato, sarà caduto non ci sarà il gelido vuoto ma la dolcezza del ricordo. Un ricordo sereno e solenne che continuerà ad alimentare i nostri cuori. E’ l’eterno ciclo della vita. Da sempre l’uomo, nella sua continua evoluzione, ha dovuto affrontare il mistero del trapasso dando ad esso i significati più importanti con manifestazioni di amore e sensibilità. La lunga storia dei cerimoniali funebri sono orgoglio delle civiltà.

Le differenti espressioni rituali rappresentano le culle nelle quali le popolazioni sono cresciute tramandandosi da generazione in generazione la loro cultura, la loro emotività e la loro entità.

Come il fiore che rinasce dalla terra, la dispersione simboleggia il ritorno alla vita attraverso la Natura.

Il risveglio di un corpo attraverso la grandiosità del perenne ciclo naturale delle cose.

Non un concetto religioso ma una concezione che può correre parallela a qualsiasi religione.

Un’etica che appaga il credente al pari del non credente.

Tornare nell’ambiente dove si sono trascorsi gli anni migliori della vita, come il mare, i monti, la campagna, il lago o qualsiasi altro  luogo amato profondamente dà un senso di pace e serenità.

Chi, in vita, ha espresso tale desiderio affronta il concetto della morte con un’altra visione e con una particolare serenità.

Anche per parenti o amici, tornare sul luogo della dispersione del loro caro è un momento di riflessione e nell’aria potranno percepire, insieme ai profumi della natura, la presenza impalpabile di chi, in vita, stava al loro fianco.

Un’altra prospettiva è quella della dispersione nei luoghi predisposti all’interno dei cimiteri, luoghi chiamati indifferentemente, giardino della memoria o roseto delle rimembranze.

Uno spazio che deve essere concepito con una funzione di altissimo significato simbolico e non come una zona di semplice smaltimento.

Il “giardino delle rimembranze”, se pensato, progettato e realizzato con la sensibilità che solo i cremazionisti hanno per lunga cultura, diventa la sintesi della natura, evitando la dispersione in ambienti che, seppur autorizzati, possono essere visti, in alcuni casi, come una pura forma di ostentazione.

E’ necessario che “il roseto” sia effettivamente tale e non una semplice e fredda area di brullo terreno o, peggio ancora, un contenitore in muratura entro il quale disperdere le ceneri.

Spesso, per pura semplicità o mera ignoranza, le amministrazioni pubbliche realizzano nelle aree cimiteriali delle modeste zone predisposte a questo scopo.

Il rito delle dispersione, vuoi laico che religioso, richiede molto di più proprio perché rappresenta il momento più profondo di questa antichissima filosofia. Tornare alla terra, per continuare ad essere partecipe di essa nelle sue manifestazioni più vivaci e colorite.  Di queste sensibilità  il roseto ne è la massima espressione.

Offrire le ceneri del proprio caro al terreno cosparso di rose è profonda simbologia. Tornare sul luogo della dispersione per una breve meditazione passeggiando tra un’in­finità di fiori profumati vuol dire assaporare i valori del ricordo, vuol dire amare la natura e ritrovare in questa la piacevole immagine di chi ci ha lasciato.

Questa è profonda etica e sarebbe bene che, amministratori pubblici nonché rappresentanti di culti vari prendano, finalmente, coscienza ed approfondiscano seriamente i pregnanti significati etici che la dispersione delle ceneri, nella sua lunga storia culturale, contiene ed esprime.

di Enrico Farina

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